Reggio Calabria


Realizzato da Elena Nicolò

L’evoluzione urbana
La leggenda vuole che la città sia stata fondata da Aschenez, uno dei pronipoti di Noè, ma fonti storiche affermano che la città fu fondata dai Calcidesi di Eubea che, costretti ad emigrare a causa della crisi economica, fondarono prima Zancle (Messina) e poi Rhegion intorno all’VIII secolo a.C. Per due secoli la città fu retta da un governo aristocratico, poi, verso la fine del VI sec. a.C, ebbe inizio la monarchia che, sotto il governo di Anassilao, si impadronì di Messina e fece di Scilla una fortezza navale. Intorno a 476 a.C. si affermò la repubblica e rifulsero le arti e le scienze (si ricordino il filosofo Glauco, il poeta Ibico, lo scultore Klearco). Dopo essere stata distrutta dal tiranno di Siracusa, fu ricostruita con il nome di Febea, ossia “città del sole”, in onore di Apollo.
In epoca greca, così come in epoca romana, la città ha avuto una conformazione e sviluppo di città litoranea, appoggiando lungo la riva dello Stretto tanto le sue strutture difensive quanto le sue direzioni espansive. Ma durante il periodo feudale-baronale la città pensata dal mare diviene città pensata da terra contraendo il suo impianto urbano attorno alla testa del crinale aspro montano su cui sorgeva il castello. Il territorio colonizzato dai greci era quello a ridosso dell'antico promontorio di Punta Calamizzi, antica foce del Calopinace, allora denominato Apsìas, la cui foce era localizzata più a nord rispetto a quella attuale.  Dal IV secolo a.C. la città assunse una forma compiuta, adagiata parallelamente alla costa lungo un asse nord-sud, circondata da mura, in una posizione che corrisponde orientativamente a quella attuale (il tracciato delle mura greche è ancora perfettamente individuabile sul Lungomare Falcomatà). Rhegion si caratterizzava dunque per uno schema planimetrico tipico delle apoikìa e si sa che la città fu estesa tra VI secolo a.C. e il V secolo a.C per circa 70 ettari.
La città possedeva diverse aree sacre. Una di queste era quella nel fondo Griso- Laboccetta situata al centro della città attuale, tra via del Torrione, via Tripepi, via 2 settembre e via Palamolla, e  che presumibilmente si estendeva fino alla via Aschenez.
Degli scavi effettuati nel 1922 da Paolo Orsi tra via del Torrione, via Tripepi, via XXIV Maggio e via San Paolo, sono venuti alla luce i resti di una struttura pubblica situata all'interno delle mura di cinta, ad un centinaio di metri dall'area sacra del fondo Griso-Laboccetta. Essa fu inizialmente identificata dall'archeologo come l'Odéon della città.
Il sito più noto riguardo le mura reggine è quello denominato "Mura Greche" che sorge sul Lungomare Falcomatà, nei pressi di Palazzo Zani. Questo tratto di mura risalirebbe al IV secolo a.C. e farebbe parte della rifortificazione operata da Dionisio II. Il sito è costituito da due file parallele di grossi blocchi di arenaria tenera, ed è di particolare interesse poiché si tratta del punto in cui le mura occidentali deviano verso oriente e chiudendo dunque a sud la cinta reggina.
Dopo la conquista da parte dell’impero romano, che nell’89 a.C. ne fece un Municipio romano, la città si estese verso est. Infatti, i romani occuparono le colline di Reggio Campi e le zone presso la fiumara dell’Annunziata, da cui veniva prelevata l’acqua all’interno di alcune cisterne, di cui sopravvivono alcuni resti, e poi condotta alla città attraverso un sistema di acquedotti. ( Nel 61 giunse San Paolo … processo di Cesare … miracolo della colonna). L’abbondanza di acqua ha permesso la costruzione di vari impianti termali, uno presso il foro, i cui resti si trovano nei pressi della Banca d’Italia, uno nella zona della Stazione Lido e uno sul Lungomare. Data la dimensione delle vasche e degli ambienti, le terme potrebbero essere state piuttosto dei "bagni", stabilimenti gestiti da privati, anche se una parte del perimetro appare continuare al di sotto della strada esistente e potrebbe avere contenuto altri ambienti di servizio, quali biblioteche o palestre come spesso si rinviene in altri siti in Europa.
Dopo essere stata invasa dai Vandali e dagli Ostrogoti, nel 536 Reggio fu conquistata da Belisario e, sotto la dominazione bizantina, la città divenne uno dei maggiori centri del’Italia meridionale, non solo politici, ma soprattutto religiosi con 12 diocesi, finché non divenne sede arcivescovile nel VIII secolo. Elevata a "Metropoli dei possessi bizantini dell'Italia meridionale" divenne il nucleo principale della chiesa grecanica meridionale, meta di un continuo afflusso di monaci basiliani, i quali favorirono la massiccia presenza di conventi e luoghi di culto nel territorio reggino.
Durante il periodo bizantino, il principale luogo di culto della città fu Cattolica dei greci. Altro importante edificio di culto era la Chiesa degli Ottimati.
Durante il X secolo Reggio fu attaccata ripetutamente dai Saraceni e la popolazione si ritirò verso l’interno, in posti facilmente difendibili, costruendo grossi agglomerati e fondando importanti centri. Nel 1059 la città fu conquistata dai normanni, che incentivarono l’agricoltura e l’arte della seta. Sotto i normanni, inoltre, l’arcidiocesi di Reggio tornò sotto la giurisdizione di Roma e fu costruita la nuova cattedrale, pur mantenendo per i cattolici di rito greco quella vecchia, la Cattolica dei greci. Dal 1196 al 1266 Reggio subì la dominazione sveva (si ricordi il ruolo molto importante giocato da Federico II di Svevia che stabilì un’amministrazione accentrata e incentivò la cultura fondando l’Università di Napoli e facendo della sua corte a Palermo un’importante punto di incontro della cultura araba, bizantina, ebraica e latina, dove fiorì anche la scuola poetica siciliana), dal 1266 al 1503 la dominazione angioina e poi aragonese (durante questo periodo venne introdotta la coltivazione del bergamotto). Nel XV secolo gli Aragonesi potenziano le rotte marittime e valorizzano ulteriormente l'insediamento urbano. In questo periodo Reggio appare dominata da un castello e circondata da mura turrite, sempre compresa tra i torrenti Annunziata e Calopinace come in età greco-romana.
Al periodo aragonese risale il Castello, uno dei simboli della città.
Dal 1516 la città entrò a far parte dei domini spagnoli di Carlo V sceso nell’Italia meridionale in aiuto di Ferdinando II contro i francesi. Durante il periodo spagnolo la città fu ripetutamente distrutta dalle orde dei turchi, cui si aggiunse il violento terremoto del 1509. In seguito a tali invasioni, nel 1547 fu ordinata la costruzione di un nuovo castello (Castel Nuovo) e fu deviato il corso del torrente Calopinace, cosa che provocò nel 1562 lo sprofondamento del promontorio di Calamizzi, che proteggeva le navi del porto dallo scirocco.
Come si può vedere dall’incisione dell’abate Giovan Battista Pacichelli, la città alla fine del ‘600 si era molto ridotta rispetto alla sua estensione iniziale ed appariva compressa entro le mura cittadine, nelle quali si aprivano cinque porte, in origine sette: la porta Dogana (D), la Amalfitana (G) e la Marina (F), la San Filippo (I) e la Mesa (E). Per molto tempo la città non poté crescere fuori delle sue mura e per sopperire alla mancanza di abitazioni si costruì nelle “vinelle”, gli spazi tra una casa e l’altra adibiti alle immondizie, e in altezza. Da notare il Castello (C), la Chiesa Madre con l’adiacente vescovato (A e B), la Cattolica (N) e il Castel Nuovo (K). Dopo la fine delle incursioni la città riprese a crescere.
Nel 1707, dopo la guerra di successione in Spagna, il regno passò al ramo viennese degli Asburgo, che dominarono la Calabria fino al 1734, quando il regno passò nelle mani di Carlo III di Borbone.
Nel 1783 la città fu colpita da un forte terremoto, che danneggiò molti edifici della città e provocò la morte di 120 persone. Il governo borbonico ebbe, così, il pretesto per avviare un progetto di riassetto territoriale. La prima stesura del Piano Mori consiste in un disegno in cui agli elementi tipo morfologici della città storica, si sovrappongono le nuove “isole” determinate dal nuovo connettivo viario. Gli elementi che caratterizzano il piano sono molteplici: agli originari tracciati si sovrappone una maglia urbana regolare che ripartisce la città in isolati; l’asse viario principale, lo stradone, viene rettificato; le mura sono abbattute e sostituite da un fronte a mare continuo. L’abbattimento delle mura, infatti, rese possibile la realizzazione della via Plutino (attuale via Marina), lungo la quale vennero collocate alcune importanti infrastrutture di servizio alla vita urbana e della Palazzina di Reggio. Si può dire che la vera ricostruzione ebbe inizio dal 1815 e portò alla costruzione di una città piuttosto diversa da quella del Piano Mori, che rimase piuttosto un piano ideale. La città crebbe prevalentemente in lunghezza. Al di là dei due torrenti, il Calopinace e l’Annunziata, si svilupparono due quartieri, quello di Sbarre e quello di Santa Caterina, all’epoca più delle campagne abitate. La città vera e propria non si era molto ampliata tant’è che, per sopperire alla mancanza di abitazioni, molte case presentavano il terzo piano, che secondo le precedenti Istruzioni, doveva essere evitato. Nuovi edifici sorsero spontaneamente nei pressi del Castello, verso il Crocefisso e Sant’Anna, dove erano stati realizzati i baraccamenti. Vi era, quindi, un forte divario tra le aree centrali e quelle più periferiche. Dopo l’Unità d’Italia si rese sempre più necessario un piano d’ingrandimento, che avrebbe dovuto tenere conto della nuova linea ferroviaria e del porto. Il piano di ampliamento venne redatto nel 1868 dagli ingegneri Franchini e Cozzolino, ma già nel 1898 fu seguito da un nuovo piano. Il primo prevedeva una fase di ristrutturazione interna e una di ampliamento, da attuarsi con la bonifica dei rioni malsani a monte del Castello, la demolizione di parte dello stesso per permettere la realizzazione della piazza adiacente e il prolungamento delle vie Achenez e Filippini, e un primo ampliamento della città verso il torrente Calopinace e il Santa Lucia. Il secondo, invece, prevedeva un ampliamento della città verso nord e il torrente Annunziata.
Il terremoto magnitudo 7,2 del 28 dicembre 1908, che sorprese gli abitanti nel sonno, seguito da un maremoto, ebbe conseguenze realmente devastanti, stravolgendo l’assetto urbano delle due città dello Stretto. Solo a Reggio esso provocò 12.000 vittime e distrusse il 95% del patrimonio edilizio. Furono, inoltre, emanate nuove regole per l’edificazione: esse stabilivano per i fabbricati un’altezza massima di 10 mt., ammettevano due soli piani fuori terra; le strutture avrebbero dovuto presentare una maglia chiusa, con l’uso di membrature di legno, ferro, cemento armato e muratura armata, mentre i sistemi ad arco e volta furono aboliti; le strade dovevano avere una larghezza pari all’altezza dei fabbricati (10 mt.); si stabilirono, anche, norme sulle sporgenze di mensole e balconi, sulle dimensioni delle aperture e sul tipo di copertura a terrazzo. La redazione del nuovo Piano Regolatore venne affidata all’ing. Pietro De Nava, assessore ai Lavori Pubblici dell’amministrazione Foti. Il progetto originario prevedeva la ricostruzione della città sul precedente sito, confermandone i principali elementi della forma urbana, in modo da conservare i tracciati settecenteschi, nonché l’originario regime di proprietà e di uso. Rispetto al piano Mori, però, il nuovo piano Nava prevedeva tre grandi giaciture: l’antica e due nuove espansioni, una a nord e una a sud. La struttura formale della nuova città aveva il suo fulcro nel sistema generato dall’asse del Corso cui si relaziona la serie di spazi aperti ad esso adiacenti: la Piazza Garibaldi con la Stazione, la Villa Comunale, la Piazza del Duomo, la Piazza Vittorio Emanuele, centro amministrativo, la Piazza de Nava, con giardini. La zona a monte dell’asse principale vene individuata come nuovo centro, da cui si dipartivano le strade parallele al Corso che permettevano alla maglia del tessuto antico, dapprima solo allineata alla costa, di estendersi verso le zone collinari. La necessità di connettere il centro storico con le nuove aree di espansione portò, tuttavia, alla regolarizzazione di alcuni spazi quali la Piazza Carmine e il Largo San Filippo, nonché la Piazza del Duomo, e alla demolizione di gran parte del Castello, del quale l’ing. De Nava volle conservare le torri aragonesi.
Prima della definitiva approvazione del Piano, avvenuta nel 1914, furono apportate comunque alcune variazioni, dettate soprattutto dall’iniziativa dei cittadini e finalizzate ad una maggiore qualificazione degli spazi pubblici. Il piano del 1914 conteneva il nuovo progetto della ferrovia denominato “Variante rossa”, mai realizzata tuttavia, che prevedeva di spostare la linea ferroviaria 450 metri più a monte in modo da raddrizzare la doppia curva dei binari nel tratto compreso tra la stazione centrale e la stazione succursale e di allargare il porto nel settore sud-ovest.
Gli edifici pubblici della ricostruzione sono caratterizzati dall’uniformità di stile. L’Eclettismo e lo stile Liberty caratterizzano molti degli edifici realizzati negli anno ’20, tra questi la nuova Cattedrale. Tra gli altri numerosi esempi di edifici Liberty del periodo della ricostruzione si ricordano:
Il Palazzo del Governo (Prefettura), progettato dall'ingegnere Gino Zani nel 1912 e completato nel 1921.
Palazzo San Giorgio, ovvero il Municipio fu progettato dall’architetto palermitano Ernesto Basile tra il 1918 e il 1921. si presenta a due piani con planimetria quasi quadrata. La facciata principale, che dà il suo affaccio su Piazza Italia, è costituita da una serie di finestre che al piano terra presentano un arco a tutto sesto e cornice a bugnato, mentre al primo piano risultano architravate e hanno lesene con capitelli, stemmi e fregi su cui si appoggia un ampio cornicione con balaustra ritmata da paraste. L'entrata principale, affacciata su piazza Italia, si trova al centro dell'asse architettonico, costituito da una struttura di fabbrica sporgente somigliante alla sagoma di una torre, sormontata da un balcone. Al di sopra del cornicione è presente un orologio, una campana e altri elementi decorativi. Gli altri prospetti dell'edificio ripetono in modo più semplice gli elementi architettonici e decorativi classici del prospetto principale.
Il palazzo Corigliano fu progettato nel 1921 dall'Ingegnere Cesare Prato e finito di costruire nel 1925. Alla fine degli anni settanta del secolo scorso subì gravi danni a causa di un rovinoso incendio. Dopo un lungo periodo di abbandono e di degrado fu restaurato e riportato all'antico splendore. Attualmente l'edificio ospita una boutique di alta moda. L'edificio dal punto di vista architettonico è costituito da due piani fuori terra e presenta un impianto planimetrico rettangolare. La facciata al piano terra è dominata da tre grandi ingressi con porte in vetro mentre al primo piano sono presenti aperture con infissi metallici decorati con artistici elementi in ferro battuto, un grande balcone fornito di ringhiera sempre in ferro battuto a motivo floreale prettamente di stile liberty, decorazioni che vengono richiamate dai lampioncini con bracci pendenti ai bordi delle aperture della ringhiera.
Negli anni ’30 vennero, inoltre, realizzati alcuni importanti edifici pubblici in tre aree nevralgiche della città: il Museo della Magna Grecia, la caserma dei giovani fascisti con l’adiacente piazza e la stazione ferroviaria. Queste tre opere si inseriscono nella maglia urbana determinando non solo un sistema di centralità raccordate da un’asse lineare, il Corso Garibaldi, ma costituiscono in ragione diversa dei nodi cerniera: la stazione e il Museo rappresentano i nodi cerniera funzionali tra area centrali e periferica, mentre la caserma dei giovani fascisti costituisce un nodo morfologico poiché giace sull’asse di rotazione delle maglie della scacchiera per seguire l’andamento della costa.
Il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria o Museo nazionale della Magna Grecia (noto anche come "palazzo Piacentini") fu progettato da Marcello Piacentini e ultimato nel 1941. L’edificio si caratterizza per la sua volumetria massiccia che ne enfatizza la monumentalità. L'edificio è costituito da un basamento bugnato in pietra lavica scura, che raccorda il dislivello fra il corso Garibaldi e via Vittorio Veneto. In facciata si alternano grandi pilastri sporgenti in travertino e ampie finestre oltre le quali sono collocate le sale espositive. Sulla facciata principale è scolpita una serie di grandi decori che riproducono le monete delle città della Magna Grecia. Il Museo di Reggio è considerato una delle opere più significative tra gli edifici costruiti per scopo museale, grazie alle sue ampie vetrate che illuminano gli ambienti espositivi per lo più a spazio aperto, che consentono un agevole e continuo itinerario di visita. Dopo l'inaugurazione furono aperte al pubblico alcune sale del pianterreno e oggi il Museo occupa tutto lo spazio disponibile nell'edificio su quattro livelli (tre piani ed un piano seminterrato).
Esempio di architettura razionalista, la Casa del Fascio di Reggio Calabria fu inaugurata con una importante cerimonia alla fine del 1936. Durante il fascismo la Casa del Fascio costituiva il centro politico, culturale e sociale reggino; nello stesso edificio era infatti ospitata la Caserma dei Fasci Giovanili di Reggio Calabria, dedicata a Luigi Razza, ex ministro del governo Mussolini e deceduto nel 1935.
Progettata con criteri razionalistici dall'architetto futurista Angiolo Mazzoni, la nuova stazione fu inaugurata il 18 aprile 1938. Il fabbricato della stazione centrale di Reggio è probabilmente quello che presenta il maggiore sviluppo lineare tra le stazioni della regione. Si mostra evidente la progettazione tipica dello stile imponente, non privo di ampollosità, del ventennio fascista. Fu concepito dall'architetto Mazzoni, nello stile divenuto tipico delle costruzioni pubbliche dell'epoca, con grandi ambienti a struttura semplice, lineare ed imponente. La struttura fa largo uso di rivestimenti in pietra lavica scura.
Nel dopoguerra, a sud del Calopinace, in un’area fino ad allora occupata da giardini, si realizzarono prima due quartieri, il Rione Ceci e il Rione Ferrovieri, organizzati ancora secondo il principio della maglia ortogonale e degli isolati rettangolari. Il Rione ferrovieri, in particolare, era costituito da edifici sviluppati per tre piani fuori terra e si incardinava con la via Galileo Galilei che, già negli anni ’50, venne prolungato oltre lo Stadio, andando a costituire il primo tratto del Viale quinto. A partire dagli anni ’50, inoltre, lungo la ex Statale 106, le attuali Sbarre Centrali, si sviluppò un sistema insediativo lineare, con edifici a due piani di tipologia mista. Da questo, poi, si iniziò ad articolare un sistema di macro isolati di connessione ortogonale con Via Sbarre Superiori. A nord, invece, oltre il quartiere di Santa Caterina, si possono riscontrare processi insediativi di tipo lineare, che interessarono soprattutto la SS18, con episodi edilizi di riempimento progressivo. Anche verso est la città si espanse: le dinamiche di espansione verso l’interno si caratterizzarono per il prevalere di forme che di fatto negavano la rigida maglia del piano ed evidenziavano una totale perdita della memoria della catastrofe. Infatti, si può notare il forte contrasto tra una maglia fin troppo ordinata e riconoscibile, e un tessuto edilizio a grana fine che si struttura sulla rete dei percorsi rurali esistenti ed accidentati che ricalcano la difficile morfologia del territorio.
Negli anni ’60 e ’70 la città continuò a crescere senza regole o forse con un sistema di regole implicitamente accettato. Solo negli anni ‘ 90 la città conobbe un lento processo di miglioramento, dal punto di vista sociale, civile e urbanistico. Si realizzarono importanti programmi di recupero e riqualificazione del tessuto urbano, e si tentò di arrestare la speculazione edilizia e l’abusivismo. Vengono edificati il Palazzo CeDir (il Centro Direzionale) e il Palazzo Tommaso Campanella.
Il Lungomare e il nuovo Waterfront

Fino 1783, infatti, la città era cresciuta compressa entro i limiti definiti dalla sua cinta muraria. Dopo il terremoto del 1783, il piano, abbattute le antiche mura e recuperati i suoli su cui esse insistevano, la fascia lungo il mare venne urbanizzata con un sistema di edifici continui afferenti ad uno spazio urbano attrezzato. Al posto delle mura, venne realizzata la via Plutino, che seguiva l’andamento della costa. La cortina degli edifici, caratterizzata dalla presenza di un porticato, veniva ritmata con un passo maggiore rispetto alla dimensione media degli isolati ed era interrotta da cinque percorsi trasversali che assumevano, per la pendenza naturale del terreno, il valore di cannocchiali visivi aperti verso il paesaggio dello Stretto. La ricostruzione prese avvio proprio a partire dal primo edificio della Palazzina, la Real Palazzina, sorta come edificio residenziale, poi adibito a caserma.
In occasione del Piano di ampliamento del 1868, venne presentato un progetto per la prosecuzione della Palazzina oltre la chiesa di Portosalvo. Secondo tale progetto la Palazzina, piegandosi in una dolce curva per seguire l’andamento della costa, doveva rispettare il modello degli edifici già realizzati, mantenendone costante l’altezza e la ripartizione. Tale proposta venne ripresentata, con qualche modifica, in occasione del Piano del 1898. Di questi nuovi edifici, però, già i primi ad essere realizzati, proposero una nuova interpretazione del modello. La villa Zerbi, ad esempio, proponeva un ordine gigante che si ispirava ai canoni dell’architettura neoclassica presente nella contigua chiesa. Il fronte marino presentava archi di accesso inquadrati da un ordine gigante a colonne accoppiate, reggenti un terrazzo. Nel 1862 vennero avviati i lavori per la realizzazione della ferrovia e, in prossimità della foce del Calopinace, si espropriarono diversi terreni per la realizzazione della stazione ferroviaria. Inoltre, nel 1873 ebbero inizio anche i lavori per la costruzione di un nuovo porto mediante l’escavazione di un bacino artificiale a nord dell’Annunziata. La realizzazione della ferrovia comportò diversi sventramenti e demolizioni della Palazzina, che interessarono soprattutto le fontane e il Palazzo Nesci. La strada Marina venne prolungata verso il porto, seguendo il naturale andamento della costa.
Dopo il terremoto del 1908 l'assessore ai lavori pubblici, on. Giuseppe Valentino, poi Sindaco della ricostruzione, incaricò l'ing. Pietro De Nava di redigere il progetto del nuovo piano regolatore della città, che includeva la sistemazione del nuovo Lungomare. Originariamente largo diciassette metri, veniva prolungato fino a superare il precedente limite dell'attuale Piazza Indipendenza per giungere ad incontrare la vecchia via Provinciale (oggi via Vittorio Veneto). Piegava poi il suo tracciato percorrendo, nella parte alta, la Rada dei Giunchi sino ad incontrare il torrente Annunziata. La nuova via Marina venne ampliata anche in larghezza: un decreto reale prevedeva, infatti, che i fabbricati rispettassero una distanza di 30-50 metri dalla ferrovia. La prima proposta fu quella di realizzare una fascia di magazzini tra la strada ferrata e i nuovi palazzi della Marina. In seguito si optò per la realizzazione di una fascia di verde e di una seconda strada, a un livello più basso della precedente, che avrebbe consentito una migliore visuale dello Stretto. Il nuovo fronte a mare fu interessato già dal 1911 alla costruzione di nuovi edifici, sia pubblici che privati. Tali edifici vennero realizzati dando preferenza ad uno stile neoclassico, che ricercava le forme e i linguaggi della cultura medievale e rinascimentale. Essi rispondevano alla volontà di dare una nuova immagine dell’assetto urbano attraverso il decoro. Tra questi edifici: 
Casa Barbera
Casa Romeo Retez 
L’Hotel Centralino
Il palazzo Fiaccadori
La casa dell'ing. Pietro Spinelli
Il Palazzo Giuffré
L’Hotel Miramare
Palazzo Spanò-Bolani
La Prefettura
Palazzo Zani
Palazzo Pellicano
La via Marina bassa ospitava il centro balneare che in passato è stato il cuore pulsante della vita mondana, culturale e artistica di Reggio. Verso gli anni venti, nella Rada venne costruito un piccolo stabilimento balneare in legno su palafitte tra la battigia e il mare. Su queste palafitte, divise in due settori, vi erano locali con destinazioni differenziate alle donne e agli uomini; tramite una scala dai camerini si scendeva direttamente in acqua; anche il mare antistante era diviso con pali e reti in zone riservate alle donne e zone riservate agli uomini. Verso la fine degli anni venti l'Ammiraglio Genoese Zerbi, sindaco di Reggio Calabria, si adoperò affinché nella zona della spiaggia dei Giunchi sorgesse un moderno Lido denominato poi Lido Genoese Zerbi.
Negli anni ’90 il Lungomare cambiò nuovamente volto, in seguito ai lavori che interessarono la ferrovia e, soprattutto, grazie all’impegno del sindaco Italo Falcomatà. L'interramento della linea ferrata lungo la costa infatti ha permesso di creare tre nuove zone oltre alle precedenti, per un totale di sei:
1.la via marina alta
2.la striscia botanica
3.la via marina bassa
4.la passeggiata con l'affaccio sul mare, al di sotto della quale scorre la linea ferrata
5.la passeggiata a mare, adornata da scalinate che scendono sul mare
6.la spiaggia
Le trasformazioni del Lungomare, tuttavia, non sono finite. Nel 2006, il comune di Reggio Calabria ha bandito un concorso internazionale per la redazione di un progetto preliminare relativo al nuovo Waterfront. Il concorso fu vinto dall’architetto di fama internazionale Zaha Hadid, che presentò il preliminare per il Museo del Mediterraneo e per il Centro Polifunzionale. Il progetto sfrutta le potenzialità uniche della localizzazione, lungo lo Stretto braccio di mare che separa l’Italia continentale dalla Sicilia, con due edifici dalle forme fluide, organiche, che si staccano dalla rigida scacchiera urbana configurandosi come segnali inconfondibili per l’orientamento da mare e da terra e che si relazionano direttamente con il paesaggio dello Stretto. A sud, il Centro Polifunzionale è un organismo architettonico che si trova al centro di un sistema di percorsi estremamente complesso. Sebbene dislocato al di là della barriera ferroviaria, si collega direttamente alla stazione mediante un sottopasso, mentre si collega alla via Marina ed alla Villa Comunale mediante un percorso aereo panoramico. A nord, il Museo del Mediterraneo è caratterizzato da corti interne che illuminano e rinfrescano naturalmente le diverse aree funzionali. Il masterplan propone la rimozione degli elementi presenti che impediscono la libera fruizione delle aree fra il mare e la ferrovia e la realizzazione dei necessari collegamenti pedonali e carrabili. Il tracciato segue la direzione longitudinale, parallela alle pendici dei rilievi aspro montani,e trasversale, secondo il verso di scorrimento delle fiumare, parallelamente agli assi visivi che collegano il centro della città con il mare. La forma del Museo del Mediterraneo si ispira alla stella marina, in coerente continuazione con la ricerca dell’architetto sulla morfologia organica. La simmetria radiale della forma, consente di organizzare un chiaro ed esauriente percorso che collega le varie sezioni e gli altri servizi. Il movimento e l’apertura derivano dalle geometrie fluide dei sistemi naturali e dalle distorsioni. Tale progetto prosegue la ricerca di uno spazio dinamico, creando una nuova estetica basata sull’interazione tra visitatore e struttura.
Il Museo del Mediterraneo è situato sul punto più esposto dell’area d’intervento. Il Museo del Mediterraneo si rivolge alla città offrendo i suoi fronti più belli al mare: verso la Sicilia ad ovest, e verso l’ingresso al porto turistico, sul lato nord-est. Ad ovest, il segnale unico dell’ingresso alla città dal mare, ad est e nord-est uno sfondo straordinario per tutto il bacino del porto. Questa posizione è ideale anche per tutte le vedute verso il porto dalla parte alta della città e perfettamente visibile anche all’ingresso in città da nord, sia dall’autostrada e che dalla ferrovia. La localizzazione del Museo, al confine con il porto turistico, garantisce la conclusione ideale della passeggiata urbana. Questa, attraverso il distretto turistico ricettivo nord in continuità con il lungomare attuale, si raccoglie sulle piazze pubbliche al di sotto del grande atrio d’ingresso e protette dai volumi del Museo. Questo sistema di piazze è un luogo ideale per lo svolgimento di attività all’aperto più o meno legate all’attività del museo, per eventi di vario genere e rappresentazioni. Questa scelta architettonica vuole garantire la migliore connessione tra il nuovo distretto ricettivo nord, la spiaggia in continuità urbana con la città, il lido comunale e gli alberghi attualmente in costruzione sul lungomare. Allo stesso tempo, però, consente di conservare il carattere e la scala urbana dell’attuale quartiere dei pescatori con una serie di locali, ristoranti ed attrezzature per il tempo libero di supporto alla spiaggia. Un altro aspetto importante di questa localizzazione risiede nella possibilità di salvaguardare il più possibile il carattere naturale della spiaggia intervenendo con strutture adeguate (attrezzature leggere per la balneazione, piccoli locali per il ristoro e un villaggio turistico alla confluenza delle fiumare).
La forma del museo del Mediterraneo, abbiamo detto, è vagamente ispirata a quella di una stella marina. In particolare per la regolarità stereometrica dei raggi che si articolano a partire dal corpo centrale. Dal punto di vista distributivo questa caratteristica formale porta una serie di vantaggi. La pianta del livello 0.00(+5.00slm), ad esempio, tende ad attrarre lo spazio esterno in una serie di anse che, rivolte di volta in volta alla passeggiata, al distretto turistico e al porto, raccolgono naturalmente il flusso dei visitatori e della moltitudine della passeggiata accogliendolo in grandi piazze aperte al riparo del volume del museo. Questa peculiarità della forma, per la sua simmetria radiale, pur offrendo le caratteristiche di un organismo complesso, sempre diverso e in grado di offrire paesaggi interni nuovi e sorprendenti, garantisce una continua possibilità di orientamento, sia all’esterno che all’interno. Il percorso museale, in particolare, ne è particolarmente avvantaggiato, consentendo di organizzare un circuito espositivo chiaro ed esaustivo e in grado di raggiungere i diversi padiglioni e le funzioni accessorie in modo intuitivo.  Un altro aspetto fondamentale dell’architettura del Museo del Mediterraneo è dato dal sistema di aperture a corte interne. Queste aperture coniche realizzate in cemento armato sono tracciate in modo organico sul poligono generativo della forma a stella e costituiscono un sistema strutturale fondamentale, riducendo le luci libere degli ampi spazi interni. Le corti interne portano la luce naturale dall’esterno illuminando le diverse aree funzionali, distribuite radialmente intorno ad esse. Allo stesso tempo queste aperture interne sono spazi per esposizioni all’aperto e importanti camini per il raffrescamento e la ventilazione naturale dell’edificio.
Il Centro Polifunzionale comprende tre edifici circondati da una piazza parzialmente coperta che rappresenta un’estensione del fronte a mare. Un edificio è utilizzato come sede per gli uffici amministrativi del Museo. Nella costruzione del nord ci sono una palestra, laboratori di artigianato locale, negozi e un cinema. Il blocco a sud è composto da tre sale diverse che, in caso di eventi particolarmente importanti, si fondono in un unico e molto più capiente auditorium.  Il Centro Polifunzionale trae la sua forza dalla posizione, al centro di un sistema di circolazione estremamente complesso. Sebbene dislocato al di là della barriera ferroviaria, questo edificio è chiamato a realizzare un’importante continuità urbana con la città. Collegato alla Stazione ferroviaria, mediante sottopasso, il Centro Polifunzionale si attesta direttamente sul centro cittadino mediante un percorso aereo che lo collega direttamente alla Villa Comunale. Questo percorso sopraelevato di grande valore architettonico, studiato per abbattere ogni barriera architettonica e raggiungere comodamente il fronte mare offrendo viste appaganti sul paesaggio, raccoglie possibili visitatori lungo il percorso mediante risalite che lo collegano, oltre che alla piazza centrale del parco della villa, al marciapiedi in prossimità della Stazione. Il Centro Polifunzionale sarà inoltre un’importante stazione per le navette di collegamento veloce via mare. Secondo le previsioni del masterplan, l’edificio si attesta su una darsena artificiale scavata per accogliere i motoscafi. Questo bacino artificiale, su cui si aprono le logge laterali degli auditorium, offre una straordinaria scenografia alla grande piazza coperta, luogo pubblico per eccellenza alla confluenza di tutti i collegamenti con la città, con la passeggiata e con i nuovi distretti turistico ricettivi a sud dell’impianto.
Il Centro Polifunzionale è un complesso che si compone di tre edifici diversi articolati intorno ad una piazza centrale parzialmente coperta. L’idea alla base del progetto è quella di rendere questo edificio il più permeabile possibile rispetto al flusso della passeggiata. Il piano terra dell’edificio vuole essere una naturale estensione dello spazio pubblico del lungomare, in grado da adattarsi al mutare delle condizioni di utilizzo tra il giorno e la sera. Al Centro Polifunzionale si può arrivare in diversi modi. Per chi arriva direttamente dalla Villa Comunale, tramite il ponte di collegamento sopra i binari, si offrono due possibilità: proseguire il percorso della passerella fino al livello 0.00 (+4.00slm), sbarcando al centro della piazza centrale coperta, oppure entrare in quota, all’interno dell’edificio nord, in corrispondenza del primo livello. Da questo ingresso a quota +4.32 (+8.32slm) si accede direttamente alla galleria commerciale attraverso la quale si può raggiungere livello inferiore tramite scala o rampa per disabili. Il secondo gruppo di progettazione giunto secondo al concorso si è ispirato all’immagine del Ficus Magnolide, che caratterizza con la sua presenza l’intera figura della città reggina ed il suo percorso marittimo.
Nel terzo progetto, infine, grazie alla differenza di quota tra la città e il mare, le funzioni richieste, i giardini, i percorsi, trovano spazio in opportune modellazioni, a terrazzamenti successivi, della superficie del terreno, tali da configurare un parco lineare continuo che connette pedonalmente il porto alla Fiumara Calopinace.
Anche il Nuovo Palazzo di Giustizia di Reggio, collocato lungo il Calopinace, di fronte al palazzo CeDir è frutto di un concorso internazionale. Tale concorso è stato vinto da Manfredi Nicoletti, architetto romano, docente presso l’Università romana, che ha collaborato con Gropius e Nervi ed è considerato uno dei pionieri dell’architettura bioclimatica in Italia e si è occupato di progetti in tutto il mondo.Il Progetto esprime un concetto urbanistico ed ecologico: creare una piazza civica, perno organizzativo del nuovo complesso e del disordinato quartiere circostante. La piazza è racchiusa da due volumi distinti, ma interconnessi dei tribunali civile e penale. Uno, curvilineo, riflette il dinamismo dell’ adiacente superstrada, l’altro la linearità del tessuto urbano. La vita tradizionale del luogo si svolgeva in spazi aperti protetti da pergole verdeggianti. La piazza civica è protetta da una pergola bioclimatica in alluminio e acciaio, che ne controlla il microclima, diffonde la luce, attiva la ventilazione, riduce le dispersioni energetiche e protegge dalla pioggia e dai raggi solari estivi. Il complesso comprende 25 grandi aule d’udienza e si sviluppa su 12 piani.
 Elena Nicolò